A La Stampa il diario scolastico della Süd-Tiroler Freiheit non è piaciuto. Hanno scritto che esalta terroristi e stragisti e si sono indignati. Per dirla tutta, dato che la verità comincia dalle piccole cose, il diario non è propriamente della Südtyroler Freiheit, partito autonomista radicale sudtirolese, ma, come si suol dire, „di area“. Come è, del resto, per tanti diari scolastici che circolano per le aule scolastiche italiane, a cui nessuno bada, ma che propagano il verbo politicamente corretto oggi tanto in voga.
Il quotidiano torinese, di cui un tempo si diceva «vicino alla famiglia Agnelli», in un lungo articolo uscito a Ferragosto, si è chiesto, scandalizzato, come mai la Procura della Repubblica di Bolzano non ne abbia ordinato il sequestro. Lo fa da qualche anno, visto che questa è già la quarta edizione del Tyroler Merkheft (diario scolastico tirolese), ma, quest’anno, la sottolineatura è stata tutta sull’apologia di terrorismo.
Secondo l’articolista il diario esalterebbe „terroristi“, condannati come tali, quali Georg Klotz e Sepp Kirschbaumer, ma, anche il loro modello storico, il celebre Andreas Hofer, giustiziato dai francesi per la sua resistenza alla Rivoluzione importata sulle punte delle baionette napoleoniche. Il riferimento è d’obbligo, perché in gioco è proprio l’uso della storia. È curioso che, sempre La Stampa, sulle sue pagine estere, insista nel definire „ribelli“ siriani coloro che il regime di Assad, ma anche la stampa russa, chiamano, invece, „terroristi“; e, a leggere bene le poche notizie che ci arrivano, sui massacri di massa nelle zone „liberate“, sembra difficile dar loro torto.
Terroristi o ribelli? L’alternativa è delle più difficili nella storiografia, a meno che si propenda per la comoda soluzione di chiamare „ribelli“ quelli che vincono e „terroristi“ quelli che perdono. Andreas Hofer era un terrorista o un ribelle? Per i francesi, inclusa la loro colonia Cisalpina (il Regno d’Italia), era certamente un „terrorista“. Per i tirolesi un resistente e un patriota, o, come si è scritto, „un ribelle per amore“. E come per i resistenti della seconda guerra mondiale, anche di lui ci è tramandata la lettera scritta in cella, poco prima della sua esecuzione. I cittadini di Mantova, città dov’era imprigionato, avevano persino fatto una colletta (5000 scudi, un’enormità per quei tempi) per ottenere la sua liberazione. Secondo padre Antonio Bresciani, che lo assisté in quelle circostanze, Andreas, in una notte di prigionia, resosi conto che la stufa emanava delle esalazioni, svegliò il suo carceriere, salvandolo e rinunciando alla fuga. All’amico Puhler, nella sua ultima lettera, chiese preghiere per la propria anima e scrisse: «che Dio sia benedetto per la sua divina grazia, che mi rende la morte così facile, come se mi portassero in altro luogo, e non all’esecuzione», ricordando poi la sua Val Passiria.
L’Italia di allora, come il Tirolo, come molte altre parti d’Europa erano teatro di quelle che gli storici chiamano le „insorgenze“, rivolte spontanee contro l’invasore francese e contro la sua ideologia, distruttrice delle appartenenze e delle identità. Gli „insorgenti“ erano ribelli o terroristi? La Rivoluzione francese aveva già scritto la sua risposta nel sangue dei Vandeani, massacrati in nome della propria fede. E lo stava scrivendo su un modello di storiografia giacobina che è arrivata sin dentro le nostre aule. Si dirà: ma il Tirolo meridionale aveva la possibilità di dire per via „democratica“ il proprio malessere… ignorando che furono proprio le iniziative di uomini come Klotz e Kirschbaumer ad aprire la strada a una soluzione diplomatica della questione tirolese. Senza di loro, si sarebbe mai arrivati al cosiddetto „Pacchetto Andreotti-Gruber“? Ma, al di là del contesto specifico e di una risposta che dovrebbe essere solo „storica“ (cioè basata su fatti e documenti), a essere in gioco, per noi, trattandosi di un diario scolastico, è il valore che la storia dovrebbe avere nell’ambito di un percorso educativo.
Basterebbe uno sguardo, anche fugace, ai manuali di storia dei nostri vicini e alle dissonanze e discordanze con i nostri, per rendersi conto di quanto la storia sia comunque e ancora materiale di propaganda ed esercizio retorico, centrato su un’idea astratta di stato e di nazione. O, per quel che riguarda i „terroristi“ sudtirolesi, confrontare le relative voci di wikipedia.it e wikipedia.de …
Il „diario“ tanto inviso alla Stampa contiene anche un ampio elogio della figura di Andreas Hofer (che, peraltro, è anche il protagonista dell’inno tirolese). Abuso della storia, da una parte e dall’altra? Se sì, non è che l’Italia (e la scuola italiana) ne escano benissimo con il numero infinito di orrendi monumenti a Mazzini e Garibaldi che popolano le nostre piazze, con tutta l’agiografia neorisorgimentale che vi fa da corona.
La verità vi farà liberi, recita un detto del Vangelo di Giovanni, che ha anche un valore profondamente laico e, per così dire, „metodologico“. Lo storico autentico è chiamato a un compito difficile e mai concluso: lasciar morire il proprio, pur legittimo, pre-giudizio nel primato dei fatti, progressivamente e sempre solo relativamente scoperti, in un percorso interpretativo inesauribile, quando, appunto, non prevalga l’uso retorico della storia, la volontà di farne uno strumento pro rege o contra regem.
Ci sono sfumature, piccoli movimenti retorici, che la dicono lunga sulla volontà reale di mettere a fuoco i propri pre-giudizi e di cercare la verità storica, e anche su certo falso moralismo. Restiamo sull’esempio scelto, quello dell’articolo fortemente scandalizzato del quotidiano La Stampa. L’articolista non ha mancato di ironizzare, sicuro di trovare l’applauso, sulla «trecciona e i Dirndl» di Eva Klotz, la figlia di Georg Klotz, condannato per „terrorismo“.
Mancavano solo dei riferimenti ai canderli e ai crauti, e poi la storia per stereotipi sarebbe completa. In realtà, la treccia e il Dirndl sono simboli identitari. Il Dirndl è l’abito tipico delle donne tirolesi. Riusciamo a immaginarci un’uguale ironia sulle unghie color arcobaleno delle atlete antiPutin e gay-friendly? O sugli orecchini di Vendola? No, evidentemente, no, pena il marchio dell’infamia omofoba su tutti i media europei …
I Greci, che di storia e di democrazia se ne intendevano, distinguevano tra buona e cattiva retorica. La prima è quella che serve la verità, la seconda è quella che è funzionale alla ricerca del potere e a interessi particolari. La verità è sempre molto scomoda, ma senza verità non si è liberi. Lo sapevano anche i moderni, quando, con Honoré de Balzac, riconoscono: «Vi sono due storie: la storia ufficiale, menzognera che ci viene insegnata, la storia ad usum delphini, e la storia segreta, dove si trovano le vere cause degli avvenimenti, una storia vergognosa». E lo sanno, in fondo, anche i contemporanei, che «siedono come nani sulle spalle di giganti», quando, ed è cosa rara, facciano lo sforzo di levare lo sguardo oltre il proprio pre-giudizio.
Giuseppe Reguzzoni
Quelle: ilsussidiario.net